Ubaldo Bartolini traduce una visione naturalistica del paesaggio in visione pittorica. La sua filologia si fa rimando contestuale, il paesaggio non è più paesaggio, ma visione di pittura, un respiro del vedere che oltrepassa la fenomenicità del rapporto percettivo e immette direttamente nel sogno dell’arte.
Bartolini ci coinvolge nel sogno, nella visione, elimina l’urbano e paradossalmente anche il paesaggio, perché più che nella topologia citata paesaggistica, ci fa entrare nell’odore, nel profumo, nel sentimento, nell’ascolto di un luogo che è lo spazio senza tempo della pittura.
Lo spazio si perimetra per comprendere, fare propria, la realtà della propria individualità. Gli antichi agrimensori delineavano con finti reticoli la verità del loro possedimento: è l’io riflesso nel lacaniano specchio che, rifrangendo il “sé” delimita e accerta il contorno somatico e psichico dell’io disegnato.
Spazio/Luogo: “idea” ovvero, kantianamente, “Forma Pura” della appercezione, “possibilità” della “resa/comprensione” del fenomenico che si “decide” nella coscienza dell’Io, un Intelletto che è capace di “usare” le categorie per ridisegnare sul vuoto della confusione il pieno dell’ordine legislativo, della “legislazione” ordinata dall’Io. Oppure ancora, il perimetrare lo spazio è definire il luogo di quello “Esserci” minkowskiano che permette la “temporalità” fenomenologicamente asettico alle patologie ossessive-nevrotiche: ma “dove” – in quale luogo-spazio – trovare/cercare, lo “spazio” che regolarizzi la struttura antropologica di un archetipico immaginario “dimenticato” e ristabilito alla attualità se solo qualche anacoreta perso nella solitudine della campagna ancora è capace di vedere le stelle le nuvole le pioggie le montagne i confini instabili tra il giorno e la notte, tra la notte e il giorno prossimo a venire?
Ubaldo Bartolini ha dimostrato in più di venti anni di lavoro nella società dell’arte, di svolgere con coerenza un assunto che prima che essere teorico è “pratico”. è il valore-tema dello spazio-luogo rapportato alle infinite variazioni che la ricerca linguistico-artistica permette di svolgere, in sintonia costante con lo Spirito del Tempo, in sintonia con la attualità del dibattito artistico, con la sincera e partecipata osmosi del “sé” allo sfuggente significato di ciò che appena “nato” è consumato e dimenticato, dentro l’effimero e volitoso/volitivo sentimento di un “tempo” che è tempo di Storia – sociale-culturale – che vuole annullare la Storia, che vive nella continua consapevolezza della vanità delle certezze identificate, che vive nella coscienza nichilistica dettata da un nuovo Qoelet regista di marionette perfettamente “finte”.