Otello Lottini

Arte a palazzo - Oraziana 1998
dal cat. della mostra, Museo Oraziano, Licenza, Roma, 1998
Sicuramente il maggiore paesaggista italiano - è dotato di una densità creativa e di un linguaggio peculiare, che costituiscono un idioletto pittorico di assoluto rilievo estetico, nell'invenzione del paesaggio plasticamente bello. I suoi paesaggi rimangono sempre avvolti nella solitudine e sono coltivati nel suoi sogni d'artista come preziosi fiori spirituali e psichici, tali da suscitare emozioni squisitamente estetiche. Nelle sue tele, non si propone di creare somiglianze veristiche e, dunque, correlazioni naturalistiche tra la superficie dipinta e il mondo, perché la pittura non consiste nel copiare la realtà, intesa come ciò che si vede e si coglie percettivamente. Nella sua visione, anzi, il sensibile non è mai direttamente percepito, ma è una dimensione costruita, è il risultato di un complicato lavoro occulto e di una interna reminescenza, mediata dalla fantasia, che gli consentono di pervenire ad esso, per via di misteriose coincidenze.
Per il realismo tradizionale, invece, ciò che appartiene alla pura impressione è più energico e distinto del ricordo. Ma Bartolini si avvale della memoria, per realizzare peculiari percorsi visivi, di cui coglie in modo privilegiato la res, l'essenza, non l'apparenza, per cui riesce a percorrere e quasi a palpare con la pupilla la pelle delle cose. Il suo idealismo estetico, però, non è ostilità verso il reale; anzi, ha una fervida attenzione verso di esso, al punto da farlo entrare in se stesso, per coglierne la quintessenza e sentirne l'aroma trascendente. La pienezza creativa, cui è pervenuto Bartolini, rende il colore steso sulle cose, come una splendida pelle cromatica e trasforma gli oggetti e gli ambienti in pure vibrazioni luminose: il suo è un mondo fatto per la pupilla, un mondo aereo e irreale, esente da concrezioni umane, che sembra destinato a sparire e a riassorbirsi nella dinamica coloristica della visione. Il pittore ha licenziato l'uomo e lo ha relegato nella città: il paesaggio è rimasto solo, senza profili umani, salvo, talvolta, la presenza di minuscole figure scure, che non sono legate alla dimensione sociale, bensì alla mitologia personale, dal carattere eminentemente memoriale-salvifico. I paesaggi sono come sculture luminose, che vivono in perenne attitudine estatica. Essi si installano nell'orizzonte dello spettatore, con i loro profili compatti e, insieme, espressivi e, nella intensa taciturnità e nel misterioso silenzio, fanno pulsare l'intimità delle cose, in una sorta di ineffabile presenza panica. Per i saggi maestri dell'India, la maggiore saggezza è il silenzio. Ma in sànscrito, brahmàn, oltre che saggezza, significa anche espressione (qualcosa di simile al logos greco) perciò, nella concezione sapienziale degli indiani, la conoscenza è sempre ineffabile e misteriosa: è ciò che avviene nella pittura di Bartolini.